Cancro al Seno

Cancro al seno: i segnali di pericolo

Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cancro al seno è il tumore più comune tra le donne. Una diagnosi precoce è il passo più importante per combattere questo male. Per questo, è necessario imparare a riconoscere ogni possibile segnale di pericolo (dolori o anomalie al seno) e ricorrere periodicamente a esami mammografici e a test di screening.

Dolore al seno: quando preoccuparsi?

Un forte dolore unito a sensazioni di tenerezza al seno possono essere segnali significativi. È importante però non farsi prendere dal panico, ma ricorrere subito a visite specialistiche: un intervento tempestivo può trasformare radicalmente il decorso della malattia.

Il dolore al seno, comunque, solo raramente rappresenta il primo sintomo di una neoplasia. Esistono, infatti, molti altri fattori che possono causare un dolore alla mammella, tra i quali:

  • scompensi ormonali causati dal ciclo mestruale
  • effetti della pillola anticoncezionale
  • effetti di alcuni trattamenti per la sterilità
  • cisti al seno
  • particolari tipi di reggiseno
  • stress

Per questa ragione, è sempre bene affidarsi a uno specialista, o semplicemente in un primo momento al medico di fiducia, che potrò valutare l’origine del dolore.

Noduli al seno: un disturbo comune

Anche la presenza di un nodulo al seno è in genere associato con la comparsa di un tumore, ma il più delle volte non è così. Si stima che quasi il 90% dei noduli al seno siano, in realtà, benigni.

Ecco le cause più comuni della loro formazione:

  • cambiamenti ormonali in età adolescenziale
  • accumulo di tessuto adiposo danneggiato
  • infezioni al seno
  • malattie fibrocistiche del seno
  • fibroadenoma (tumore benigno)

Cancro al seno: i sintomi da considerare

Anche se la maggior parte dei noduli al seno è causata da condizioni non gravi, una nuova formazione di grumi, anche indolore, è il sintomo più comune di cancro alla mammella.

Ecco quali sono i primi segni di cancro al seno che è bene non trascurare:

  • cambiamenti nella forma del capezzolo
  • dolore al seno persistente, anche dopo il ciclo mestruale
  • nuove formazioni adipose che non scompaiono
  • mutazioni di colorazione del capezzolo
  • arrossamento, gonfiore, irritazione, prurito, eruzioni cutanee o sul seno o sul capezzolo
  • gonfiore o presenza di un nodulo intorno alla clavicola o sotto il braccio

Più avanti nel tempo, ulteriori sintomi sono:

  • ritrazione verso l’interno del capezzolo
  • allargamento o deformazione della superficie di un seno
  • ingrossamento di un grumo già esistente
  • dolori vaginali
  • improvvisa perdita di peso
  • ingrossamento dei linfonodi sotto l’ascella
  • vene visibili sul petto
  • secrezioni dal capezzolo

Avere uno o più di questi sintomi non significa necessariamente soffrire di cancro al seno. Tuttavia, è consigliabile rivolgersi a un medico specialista per un’attenta valutazione.

Controlli al seno: quali esami vanno fatti?

Ecco quali sono i test più comuni compiuti per verificare la salute del seno:

  • esame fisico, per verificare la presenza di malformazioni al capezzolo o grumi sulla pelle;
  • anamnesi, perché spesso un tumore al seno è causato anche da fattori genetici;
  • mammografia, una radiografia del seno può aiutare a distinguere tra masse benigne e maligne;
  • ultrasuoni, per produrre un’ulteriore immagine del tessuto da esaminare;
  • MRI, la risonanza magnetica è un altro test non invasivo utile a esaminare il tessuto mammario;
  • biopsia, tramite la rimozione di una piccola parte di tessuto del seno.

Esami di screening preventivi

Prima ancora che compaiano i primi sintomi di un grave disturbo, come il tumore al seno, è bene chiedersi qual è il rischio a cui si è soggetti, valutando la storia della propria famiglia. La genetica, infatti, può davvero darci un aiuto e portarci a capire quali sono i pericoli a cui si potrebbe essere esposti.

Per questa ragione, sempre più specialisti consigliano alcuni tipi di screening preventivi, che consentono la rilevazione precoce e l’identificazione delle possibili mutazioni dei geni responsabili del tumore al seno, come il BRCA1 e il BRCA2.

Questi esami sono semplici e poco invasivi; prevedono il prelevamento di un campione di DNA, attraverso un tampone buccale, con i risultati disponibili quasi sempre in poche settimane.

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Test diagnostici

Analizzare le cellule dal feto è l’unico modo per diagnosticare con sicurezza anomalie cromosomiche. Tra i test diagnostici (più invasivi): l’amniocentesi e il prelievo dei villi coriali (CVS). 

Amniocentesi

Questo esame analizza un campione di fluido amniotico che circonda il feto nell’utero. Viene eseguito dopo le prime 15 settimane della gravidanza. Utilizzando gli ultrasuoni, un ago sottile è inserito nell’addome materno fino al liquido amniotico che viene quindi rimosso e analizzato.

Questo test comporta un rischio dello 0,5-1% di provocare un aborto spontaneo.

La procedura dura 5-10 minuti e provoca solo un leggero fastidio per la madre. I risultati finali saranno disponibili entro due o tre settimane. 

Prelievo dei villi coriali (CVS)

Questo esame analizza un campione di placenta. Viene eseguito dopo 11 settimane dalla gravidanza. Utilizzando gli ultrasuoni, un ago è inserito attraverso l’addome della madre nella placenta; qui viene aspirato un piccolo campione di tessuto, inviato poi al laboratorio per le analisi.

Questo test comporta un rischio del 1-2% di provocare un aborto spontaneo.

La procedura dura 5-10 minuti ed è un po’ più fastidiosa per la madre rispetto all’amniocentesi.

I risultati finali saranno disponibili in due settimane.

Come si è visto, entrambi i test diagnostici comportano rischi, seppur minimi, di provocare aborti spontanei: è bene tenerne sempre conto prima di acconsentire all’inizio delle procedure.

Bisogna ricordare, inoltre, che non esiste un trattamento per le anomalie cromosomiche.

Se la diagnosi è fatta prima della nascita, al limite è possibile valutare un’interruzione della gravidanza.

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Qual è l’impatto sociale della sindrome di Down?

Gli individui con sindrome di Down soffrono di ritardi cognitivi di vari gradi, da molto lievi a gravi. Grazie ai progressi della moderna tecnologia medica, le persone con sindrome di Down vivono più a lungo rispetto al passato. Basti pensare che nel 1910 l’aspettativa di vita era di appena 9 anni, mentre oggi ben l’80% dei soggetti con sindrome di Down può vivere fino a 60 anni o anche più a lungo. Oggi chi soffre della sindrome di Down è sempre più integrato nella società e nella propria comunità di appartenenza (scuola, ambiente di lavoro, sistema sanitario, attività sociali e ricreative…). Tuttavia, una corretta e diffusa educazione pubblica su questa malattia deve essere una costante necessità civile e sociale. È imprescindibile permettere a chi è affetto da sindrome di Down di vivere un’esistenza normale, sentendosi accettato in ogni luogo e ambiente di vita.

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Malattie rare in gravidanza

Diverse sono le malattie rare che possono condizionare gravemente la vita di un bambino.

Subito dopo la nascita, un piccolo prelievo del sangue può permettere uno screening adeguato per valutare l’esistenza di patologie rare congenite, che possono toccare l’apparato respiratorio, il sistema linfatico, il metabolismo.

Gravidanza e disturbi: ecco i più gravi

Ecco quali sono le malattie più gravi che possono comparire nel periodo della gravidanza:

Favismo

  • Che cos’è: mancanza, parziale o totale, di un particolare enzima (G6PD).
  • Cosa provoca: distruzione dei globuli rossi (emolisi).
  • Cura: evitare alcuni alimenti (fave, piselli) e farmaci (aspirina); in caso di emolisi: trasfusione di sangue.

Fibrosi cistica

  • Che cos’è: malattia genetica, anomalia proteica nell’apparato respiratorio, riproduttivo e digestivo.
  • Cosa provoca: anemia, malnutrizione, problemi respiratori e disturbi epatici.
  • Cura: individuazione precoce della patologia.

Fenilchetonuria

  • Che cos’è: alta concentrazione di un particolare amminoacido (fenilalanina)nel sangue.
  • Cosa provoca: ritardi mentali e di crescita, epilessia, cardiopatia.
  • Cura: diagnosi precoce, terapia di riequilibrio della percentuale di fenilalanina nel sangue.

Ipotiroidismo congenito

  • Che cos’è: minore produzione degli ormoni della tiroide.
  • Cosa provoca: disturbi nella crescita e nella funzionalità di molti organi vitali, lesioni cerebrali.
  • Cura: diagnosi precoce, terapia ormonale.

Leucinosi

  • Che cos’è: difetto congenito del metabolismo degli aminoacidi.
  • Cosa provoca: danni gravi al sistema nervoso.
  • Cura: diagnosi precoce, disintossicazione con emodialisi.

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I principali disturbi genetici

Tra i principali disturbi di natura genetica, troviamo:

Sindrome di Down

È l’anomalia genetica più comune, in cui un soggetto ha tre cromosomi 21 invece che due. Provoca ritardi mentali e difetti fisici, la sua incidenza aumenta con l’invecchiare della madre.

Sindrome di Patau (trisomia del cromosoma 13) e Sindrome di Edward (trisomia del cromosoma 18)

Sono disturbi più gravi della sindrome di Down, ma meno comuni. I bambini con trisomia 13 o 18 hanno gravi ritardi mentali e molti difetti fisici. I più colpiti muoiono entro un anno dalla nascita.

Mancanza di cromosomi X e Y (i cromosomi sessuali)

Questi disturbi causano infertilità, difetti di crescita, problemi comportamentali e di apprendimento.

Sindrome di Turner

È un’anomalia cromosomica rara che colpisce donne mancanti di tutto o parte del cromosoma X.

Comporta sterilità e disturbi nei cambiamenti puberali.

Gravidanza molare

È una forma rara di gravidanza che comporta una composizione anomala dei cromosomi. La gravidanza ha uno sviluppo anormale per quanto riguarda la placenta e l’embrione

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Tipologie della sindrome di Down

Esistono tre tipi di sindrome di Down:

Trisomia 21

La sindrome di Down è causata da un errore nella divisione cellulare chiamato “disgiunzione”: esistono tre copie del cromosoma 21, invece che le due canoniche.

Durante il concepimento, una coppia dei cromosomi 21 di uno dei genitori non riesce a separarsi. Con lo sviluppo dell’embrione, il cromosoma è replicato in ogni cellula del corpo.

Questo tipo di sindrome di Down, che rappresenta il 95% dei casi, è chiamata Trisomia 21.

Mosaicismo

Se lo stesso fenomeno si può verificare durante una delle prime divisioni delle cellule dell’embrione: alcune cellule avranno il normale corredo cromosomico, altre avranno 47 cromosomi ( quelle con 45 non sono vitali).

Il mosaicismo è diagnosticato quando si verifica una commistione tra due tipi di cellule, alcune contenenti 2 cromosomi, altre con 47 cromosomi (che contengono- cromosomi 21).

Il mosaicismo è la forma meno comune di sindrome di Down (rappresenta solo l’1% di tutti i casi).

Traslocazione

Nella traslocazione, che rappresenta circa il 4% dei casi di sindrome di Down, una copia completa o parziale supplementare del cromosoma 21 si attacca a un altro cromosoma (di solito il cromosoma 14) durante la formazione della cellula uovo: il numero totale di cromosomi nelle cellule dell’embrione resta 46,

si ha la presenza  del materiale genico corrispondente a un cromosoma 21 totale o parziale supplementare.

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Qual è la causa della sindrome di Down?

La copia aggiuntiva del cromosoma 21, che causa la sindrome di Down, può provenire dal corredo genetico sia paterno sia materno, ma solo il 5% circa dei casi è attribuibile al gene maschile.

Questo perché lo spermatozoo con un cromosoma in più tende a non essere vitale. Indipendentemente dal tipo di sindrome di Down, la causa comune è la presenza di una porzione in più del cromosoma 21, in tutte o in alcune cellule. Questo materiale genetico aggiuntivo altera lo sviluppo umano e provoca le caratteristiche associate con la sindrome.

La causa prima della presenza di un supplemento del cromosoma 21 è ancora sconosciuta.

L’età della madre è l’unico fattore che finora è stato collegato a una maggiore probabilità di avere un figlio con sindrome di Down, derivante dalla trisomia 21 o dal mosaicismoper una donna di 35 anni ha circa la probabilità di concepire un figlio con sindrome di Down è di circa 1 su 350, mentre tra i 40 e i 45 anni l’incidenza diventa di circa 1 su 30).

Visto che la tendenza attuale è quella di avere figli sempre più tardi, l’incidenza della sindrome di Down è prevista in aumento (ecco perché la consulenza genetica per i genitori diventa sempre più importante). dei tassi di natalità più elevati tra le donne giovani attualmente l’80% dei bambini con sindrome di Down hanno madri sotto i 35 anni di età.

Per ora, non esistono ricerche scientifiche che indichino come cause della sindrome fattori ambientali , particolari attività dei genitori prima e durante la gravidanza, o familiarità, cioè presenza di altri casi nella storia familiare: infatti. solo l’1% di tutti i casi ha una componente ereditaria. Può verificarsi in soggetti di ogni etnia e livello sociale.

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Come viene diagnosticata la sindrome di Down?

La presenza della sindrome di Down può essere verificata sia durante la gravidanza sia al suo termine.

Esistono diversi tipi di test per la sindrome di Down, che possono essere eseguiti durante la gravidanza:

Test di screening

Gli esami di screening stimano, con alta precisione, la probabilità per un feto di avere la sindrome di Down. Esiste oggi un ampio numero di test di screening disponibili per le donne in gravidanza.

La maggior parte di questi test prevede:

  • un esame del sangue, (test di screening avanzati sono in grado di rilevare la presenza di – materiale cromosomico del feto -);
  • un’ecografia, per verificare la presenza di un segno riconoscibile ( “marker”) associato alla sindrome di Down.

Questi test non sono invasivi e altamente precisi (al 99%). I test del sangue, come il test del DNA fetale o Analisi Prenatale NIPT, permettono alle donne, già dalla 10° settimana, di valutare la presenza di anomalie cromosomiche.

Di grande validità è il Test combinato del primo trimestre, bi-test, (con ecografia), che si effettua tra la 9° e la 13esima settimana di gestazione e misura due diverse proteine presenti nel sangue materno, mentre l’ecografia valuta la quantità di fluido presente nell’epidermide superiore sulla parte posteriore del collo del bambino (translucenza nucale).

In passato, si impiegavano procedure altamente invasive, come la villocentesi e l’amniocentesi, che comportavano un rischio per la salute del feto. Dal 2014, è possibile analizzare il DNA fetale libero che circola nel sangue materno, sfruttando tecniche di sequenziamento genetico, che non richiedono altro se non un semplice prelievo.

Se un test di screening mostra un aumento della probabilità di avere un figlio con sindrome di Down, può essere il caso di prenotare anche un test diagnostico. I test di screening sono più efficaci, se compiuti durante il primo trimestre della gravidanza.

Esami alla nascita

La sindrome di Down è di solito identificata alla nascita dalla presenza di determinate caratteristiche fisiche. Poiché queste caratteristiche possono essere presenti anche in bambini senza la sindrome di Down, un’analisi cromosomica accurata (esame del cariotipo) può essere condotta per confermare la diagnosi: si estrae un campione di sangue per esaminare le cellule del bambino.

Si fotografano quindi i cromosomi del neonato e si riconoscono individualmente in base a – dimensione, – e forma, con la possibilità di riconoscere porzioni specifiche di singoli cromosomi ( tecnica FISH)

Un altro test genetico (chiamato FISH) utilizza principi simili per confermare la diagnosi.

Quando fare i test di screening?

Le trisomie 21, sebbene più comuni nelle donne di età superiore ai 35 anni, possono verificarsi anche prima. Per questa ragione, si consiglia l’analisi del DNA fetale già a partire dalla decima settimana di gestazione.

Esistono alcuni fattori che possono alterare i risultati, come:

  • mosaicismi confinati alla placenta
  • sindrome del vanishing twin (ovvero del gemello riassorbito)
  • peso della madre
  • infezioni
  • neoplasie
  • trattamenti con cellule staminali

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Sindrome di Down e fattori di rischio

Alcuni genitori hanno un rischio maggiore di generare figli con la sindrome di Down.

Ecco quali sono i fattori di rischio principali:

  • Età materna: le probabilità aumentano quando la madre è più in là con gli anni, perché le cellule uovo più vecchie hanno un rischio maggiore di divisione cromosomica impropria. A 35 anni il rischio di concepire un bambino con la sindrome di Down è di circa 1 a 350. A 40 anni il rischio è di circa 1 su 100, mentre a 45 anni il rischio è di circa 1 a 30.
  • Avere già un figlio con sindrome di Down: in genere, una donna che ha un figlio con la sindrome di Down ha circa 1 su 100 possibilità di generare un altro bambino con la sindrome di Down.
  • Essere portatori della traslocazione genetica: uomini e donne possono trasmettere la traslocazione genetica per la sindrome di Down ai loro figli.

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Test di screening

Per sapere se il feto è affetto da malattie cromosomiche, è possibile effettuare test di screening prima della nascita. In base al risultato, sarà poi possibile effettuare successivi esami diagnostici più accurati. Ecco quali sono i testi di screening più comuni:

Screening del siero

È un esame del sangue eseguito durante le prime 15-20 settimane della gravidanza. Misura il livello di ormoni presenti nel sangue della madre.

Misurazione della translucenza nucale

Tramite ultrasuoni, si misura lo spazio fluido alla parte posteriore del collo fetale. Viene eseguito tra le 11-14 settimane della gravidanza.

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