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Pessario cervicale, un aiuto contro il parto pretermine

Uno studio italiano, coordinato dal professor Gabriele Saccone dell’Università Federico II di Napoli, ha evidenziato che le donne in gravidanza a rischio di parto spontaneo pretermine, a causa della cervice accorciata, con l’utilizzo del pessario cervicale potrebbero abbassare notevolmente il pericolo di una nascita prematura rispetto alle altre future mamme coetanee che vengono sottoposte alle cure standard. I risultati di questo trial clinico sono stati pubblicati sulla rivista JAMA (Journal of the American Medical Association).

Il pessario cervicale è un dispositivo medico a forma di anello, è di silicone o di altri materiali plastici e viene posizionato dove a livello del collo dell’utero con la funzione di aiutare a mantenerlo chiuso evitandone la dilatazione prima del tempo con la conseguenza di un parto prematuro.

I ricercatori, sotto la guida de professor Saccone, hanno selezionato un campione di 300 donne con gravidanza singola e asintomatica, che in precedenza non avevano avuto parti spontanei pretermine e con la misura della lunghezza della cervice uterina pari o inferiore a 25 millimetri. Le future mamme erano tra la diciottesima e la ventitreesima settimana di gestazione. Con una scelta del tutto casuale, al 50% del campione è stato inserito il pessario cervicale, poi rimosso alla trentasettesima settimana di gestazione o prima se necessario. Alle donne con una lunghezza cervicale pari o inferiore a 20 millimetri è stato somministrato del progesterone fino alla trentaseiesima settimana di gravidanza e a tutte loro è stato detto di proseguire l’attività quotidiana come di consuetudine, senza diminuirla o mettersi a riposo.

Dall’analisi dei casi è risultato che il numero di parti spontanei prematuri, quindi avvenuti prima della trentaquattresima settimana di gestazione, è

stato di molto inferiore fra le donne a cui era stato inserito il pessario cervicale rispetto alle altre. La percentuale del primo gruppo, col pessario cervicale, che ha partorito pretermine è stata del 7,3% contro il 15,3% dell’altra metà. È comunque da evidenziare che il primo gruppo ha dichiarato un aumento del numero di perdite vaginali o, se già presenti in precedenza, un aumento della loro entità dell’87% rispetto al 46% del secondo gruppo, quello senza pessario.  

Il professor Saccone ha spiegato che la nascita prematura è una delle cause principali della mortalità perinatale. Il pessario cervicale è uno strumento utile per prevenire i parti pretermine ed è di semplice utilizzo e non invasivo. Per il ricercatore, le sperimentazioni in merito dovrebbero continuare focalizzandosi sulle donne a rischio di parto pretermine, fra cui le asintomatiche, quelle con travaglio anticipato arrestato, con rottura prematura delle membrane e con gravidanze gemellari.

Sul tema, Robert Silver e Ware Branch, dell’Università dello Utah Health Sciences Center, di Salt Lake City, hanno comunque precisato l’importanza di essere molto prudenti prima di spingere verso l’adozione di massa del pessario cervicale.

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Sostanze inquinanti di uso comune dannose per il feto

I ricercatori dell’Institute for Advanced Biosciences, INSER Research Center di Grenoble, hanno condotto uno studio in sei Paesi europei analizzando i dati appartenenti a 1.033 coppie madre e figlio con l’obiettivo di dare una valutazione sulla funzionalità polmonare dei bambini in seguito all’esposizione a inquinanti chimici comuni: 85 esposizioni avvenute prima della nascita durante la gravidanza e 125 esposizioni nella prima infanzia.

La maggior parte delle esposizioni facevano riferimento a sostanze chimiche, ma sono stati esaminati anche elementi inerenti allo stile di vita degli individui del campione, come ad esempio il fumo, l’ambiente domestico, le condizioni degli ambienti interni ed esterni e della zona in cui i bambini vivevano.

I risultati della ricerca hanno dimostrato che essere esposti ad alcune sostanze chimiche inquinanti anche nel periodo di gestazione può causare la riduzione irreversibile della funzionalità polmonare.

Si è evidenziato il legame fra l’esposizione a determinate sostanze inquinanti nei primi anni di vita del bambino e ai problemi respiratori che si manifestano durante l’infanzia.

Il team che ha condotto lo studio ha specificato su The Lancet Planetary Health che il maggior numero di ricerche in questo ambito è rivolto alle sostanze chimiche e alle tossine prese singolarmente e non valuta l’intera gamma di sostanze a cui si trova esposto un bambino.Valerie Siroux, la principale autrice della ricerca, ha affermato che lo studio ha evidenziato la facilità dell’esposizione a quelle sostanze chimiche,

All’età di 6 e di 12 anni, tutti i bambini del campione hanno eseguito il test della funzionalità polmonare. L’essere stati esposti nel periodo di gestazione alle sostanze polifluoroalchiliche e perfluoroalchiliche è stata associata ad una riduzione della funzionalità renale. Queste sostanze si trovano comunemente nelle confezioni degli alimenti, nelle pentole antiaderenti, nei tessuti antimacchia e in tanti prodotti che solitamente si usano in casa. Le sostanze in causa vengono assorbite dal feto attraverso gli alimenti che ingerisce la madre o attraverso la placenta.

Valerie Siroux ha commentato che la maggior parte di queste sostanze chimiche sono difficili da evitare. A seguito di ulteriori conferme, l’unico modo di agire sarebbe attraverso misure preventive con normative più rigide verso le sostanze chimiche identificate, con una maggiore informazione verso il pubblico tramite etichette chiare ed evidenti sui beni di consumo comuni che le contengono.

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I sintomi e le voglie della gravidanza

Durante la gravidanza il corpo della donna subisce importanti cambiamenti. In questi mesi possono comparire diversi sintomi che causano malesseri che a volte impediscono di svolgere le abituali attività quotidiane. I sintomi non colpiscono tutte le donne e si possono manifestare con entità diversa, in alcuni casi molto lieve e in altri particolarmente problematica.

Spesso il primo sintomo che compare in gravidanza è la nausea. Si manifesta all’inizio della gestazione, da due a otto settimane dopo il concepimento, e solitamente scompare al termine del primo trimestre. Si presenta soprattutto al mattino e può essere seguita da vomito. È un sintomo totalmente soggettivo nel modo di manifestarsi, infatti viene percepito da alcune future mamme in maniera lieve, come un disturbo sopportabile e di breve durata, invece per altre è un vero e proprio dolore che persiste in qualsiasi ora della giornata e prosegue oltre il primo trimestre.  

Quasi sempre con la nausea compare un altro sintomo: l’ipersensibilità verso certi odori particolarmente intensi. Quando vengono percepiti generano immediatamente un forte disturbo. La percezione è assolutamente soggettiva per ogni gestante. Non esiste una cura, l’unico modo è quello di evitare di avvicinarsi a ciò che produce quegli odori. I primi cambiamenti ormonali, oltre ad alterare l’olfatto, modificano anche il gusto, rendendo sgradevoli cibi sempre apprezzati e viceversa.  Durante la gravidanza, la prima parte del corpo che subisce mutamenti è il seno. Già dalla terza settimana dal concepimento è possibile notarne la crescita a causa dall’aumento del progesterone. Fra i sintomi più diffusi c’è la tensione del seno, che è provocata dal veloce ingrossamento della mammella.

Per alleviare il fastidio si consiglia di indossare reggiseni che non costringano il seno, ma siano morbidi, traspiranti e in tessuti naturali. È importante cambiare taglia seguendone la crescita.  

Durante la gestazione il metabolismo rallenta per consentire l’aumento delle riserve di energie necessarie allo sviluppo del feto, per questa ragione un sintomo che colpisce nelle prime settimane di gravidanza è l’eccessiva stanchezza.

Con la crescita,il feto esercita una pressione sulla vescica e questo causa il bisogno di urinare di frequente, un sintomo che si avverte solitamente dopo le prime settimane di gestazione, ma che può comparire verso l’ottava settimana perché l’aumento della massa di sangue che si forma nel corpo affluisce maggiormente nei reni.

Un altro sintomo molto conosciuto e sicuramente meno fastidioso consiste nella comparsa delle voglie. In qualsiasi momento del giorno e spesso anche della notte possono sopraggiungere forti desideri di un cibo particolare, magari di alimenti che non si gradivano prima della gravidanza. Le voglie si possono tranquillamente assecondare a patto che riguardino alimenti sani, quindi niente dolci o cibi ipercalorici.

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Adattamento della placenta per una migliore protezione

Uno studio svoltosi presso il St John’s College dell’Università di Cambridge e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), ha dimostrato che la placenta è capace di adattarsi seguendo lo stile di vita, la quantità di ossigeno e la dieta alimentare della futura mamma per fornire la migliore protezione al feto.

Per realizzare questo studio sono state analizzate le placente dei roditori, più dettagliatamente sono state esaminate delle componenti cellulari piccole parti di cellule della placenta di questi animali: i mitocondri.

I mitocondri sono considerati le centrali energetiche della cellula. Grazie a reazioni chimiche, attraverso l’ossigeno trasformano gli zuccheri e i grassi in energia necessaria allo svolgimento di molte funzioni cellulari. Sono presenti nella quasi totalitá delle cellule del corpo e sono organuli generalmente a forma di fagiolo.

La dottoressa Amanda N. Sferruzzi-Perri è la principale autrice di questo studio ed ha affermato che grazie alla ricerca hanno scoperto che nella placenta i mitocondri hanno un’elevata capacità di adattamento con l’obiettivo di compensare gli impatti ambientali. Ad esempio ciò avviene nelle donne in stato di gravidanza che vivono in zone di alta quota con carenza di ossigeno e non seguono una corretta e sana alimentazione.

I ricercatori hanno spiegato come i cambiamenti degli stili di vita nella società odierna abbia portato molte donne a seguire diete alimentari scorrette anche nei nove mesi di gravidanza e questo può essere causa di complicazioni.

La dottoressa Sferruzzi-Perri ha precisato che i risultati del loro studio evidenziano che i mitocondri sono fattori fondamentali della funzione placentare e di supporto per la crescita del feto. Ha poi concluso auspicando un passo successivo della ricerca che consista nell’indirizzare i mitocondri ad alterare le loro funzioni e a migliorare il successo della gravidanza.

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Aumento del peso in gravidanza

L’aumento del peso in gravidanza è naturale, ma quanti chili è giusto prendere perché siano funzionali senza compromettere la salute della mamma e del bambino? Il peso va tenuto accuratamente sotto controllo per tutti i nove i mesi di gravidanza e non si dovrebbero prendere più di 12 chili. Infatti il peso accumulato oltre i 12 chili non serve per la gestazione e sarà il più difficile da smaltire dopo il parto.  

È molto importante che le donne in gravidanza comprendano che un forte aumento del peso può comportare l’insorgere di patologie ostetriche, come ad esempio il diabete gestazionale e l’ipertensione per la madre, ma anche rischi di problemi importanti per il feto e per la gravidanza stessa.

Può considerarsi corretto un aumento totale del peso di 10-12 chili, da considerarsi dall’inizio fino al termine della gravidanza. Aumento che va distribuito per una metà nei primi 6-7 mesi di gravidanza e l’altra metà negli ultimi 2-3 mesi. È proprio verso il termine della gestazione che il bambino aumenta di peso e di dimensioni e ciò avviene molto più velocemente rispetto ai mesi precedenti.

In una donna che durante l’intera gravidanza ha preso circa 10 chili, il peso viene distribuito nel seguente modo:

3-4 chili di peso sono del feto;

2-3 chili di peso per l’ingrossamento dell’utero;

-1- 2 chili di peso del liquido amniotico;

0,5 chili di peso sono per la membrana amniotica e la placenta;

   il resto del peso è composto dai liquidi trattenuti e dal tessuto adiposo che si forma nelle zone del seno, delle natiche e delle cosce per creare una riserva di energia da usare nel periodo di allattamento in caso di necessità

È una parte del peso molto variabile da donna a donna ed è necessario controllarla adeguatamente.

Per le donne che iniziano la gravidanza sottopeso, il numero di chili che si possono prendere è più elevato. Al contrario, le future mamme che partono con un peso abbondante devono limitare ulteriormente l’aumento di chili durante la gestazione ed è necessario che vengano seguite da un nutrizionista che controlli l’alimentazione per fare in modo che donna e feto abbiano tutti gli elementi nutritivi necessari senza che la madre assuma chili di troppo.

È consigliabile fare più pasti piccoli e frequenti nel corso della giornata perché il corpo della madre subisce costantemente un sovraccarico di lavoro per far sviluppare il bambino, quindi è meglio non appesantire l’apparato digerente.

È importante bere molta acqua per avere un’adeguata idratazione, contrastare la ritenzione idrica e favorire il transito intestinale che durante il periodo di gravidanza è soggetto a rallentamenti. È meglio bere latte intero, rispetto a quello parzialmente scremato, perché contiene calcio in una forma che si assimila più facilmente.

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Da oggi BioRep è un laboratorio SMeL accreditato dalla Regione Lombardia per le analisi di Genetica Molecolare.

Dopo essere stati i primi a portare in Italia il test prenatale non invasivo (#NIPT) basato su sequenziamento massivo parallelo (NGS) interamente certificato per la diagnostica in vitro (CE-IVD), BioRep ottiene un altro importante risultato: l’accreditamento #SMeL – Servizi di Medicina di Laboratorio – per la Genetica Molecolare con iscrizione numero 1417 del 27.03.2019 al Registro Regionale delle Strutture Accreditate.

L’accreditamento viene rilasciato a seguito di un iter selettivo che ha lo scopo di verificare e garantire un’elevata specializzazione e un alto grado di competenza nell’ambito della diagnostica molecolare.

#BioRep, come ente accreditato, può quindi offrire prestazioni di genetica in service a strutture sia pubbliche sia private confermandosi punto di riferimento per i servizi di laboratorio.

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I controlli ecografici in gravidanza

I controlli ecografici che si effettuano durante i nove mesi di gravidanza servono per accertare che la gestazione stia proseguendo regolarmente e per intervenire tempestivamente in caso di problemi. Per questa ragione è fondamentale che vengano eseguiti sempre e nelle tempistiche prescritte dal ginecologo. Se la gravidanza si svolge regolarmente, è necessario sottoporsi ad una visita ostetrica al mese, con le relative analisi prescritte dal ginecologo, ed eseguire tre ecografie: del 1° trimestre, morfologica e di accrescimento. In più si aggiunge una quarta che è la Traslucenza nucale. In caso di problematiche o sospetti diagnostici, sarà il ginecologo a decidere di aumentare i controlli ecografici.

L’ecografia del 1 trimestre: si esegue nelle prime 12 settimane di gravidanza. Se viene effettuata con l’utilizzo di una sonda transvaginale attorno alla 6° settimana, è possibile vedere la camera gestazionale per controllare che l’embrione sia correttamente posizionato all’interno dell’utero. Si può valutare la morfologia e quindi eventuali patologie che riguardano l’impianto e l’effettiva presenza dell’embrione. È possibile sapere se la gravidanza é singola o gemellare. Durante questa ecografia si misura la lunghezza dell’embrione e con questo dato si identifica la data esatta del concepimento. Senza questa procedura, per stabilire l’età gestazionale si farebbe riferimento al giorno dell’ultima mestruazione, ma in questo modo nelle future mamme che hanno cicli irregolari con ovulazione ritardata l’embrione sarebbe più piccolo. La data del concepimento serve per controllare la crescita dell’embrione e poi del feto fino alla nascita.

L’ecografia morfologica: si esegue generalmente intorno alla 22° settimana di gravidanza ed è un’ecografia importantissima nel corso dello sviluppo del feto perché si verifica la crescita corretta degli organi e degli apparati. Inoltre permette di escludere alcune patologie come il labbro leporino. Si può controllare la quantità di liquido amniotico e molto spesso scoprire il sesso del bambino.

L’ecografia di accrescimento: viene eseguita nel terzo trimestre di gravidanza, verso la 32° settimana. Serve per dare una valutazione sulla corretta crescita del feto. Si vede la quantità di liquido amniotico. Dall’analisi del flusso sanguigno cerebrale e del cordone ombelicale si possono diagnosticare possibili future sofferenze fetali che potrebbero essere dannose per il termine della gravidanza.

La Translucenza nucale (NT – Nuchal Translucency) è un’ecografia a cui ci si può sottoporre entro la 13° settimana di gravidanza e permette di misurare la plica nucale. Con questo esame, insieme al bi-test e al rilievo delle ossa del naso, si esegue lo screening per diagnosticare alcune importanti anomalie cromosomiche, fra cui la sindrome di Down. Da pochi anni, i test per l’analisi del DNA fetale come NATIVA, sono stati inseriti nel percorso clinico della gravidanza. I NIPT permettono di rilevare in maniera accurata le eventuali aneuploidie dei cromosomi fetali e, considerati come test di screening avanzato, sono in grado di aumentare il potere predittivo degli screening prenatali convenzionali (ecografici e biochimici).

Nativa è in questo contesto il test di screening prenatale certificato CE-IVD in grado di rilevare dalla 10° settimana le aneuploidie dei cromosomi 13, 18, 21 e dei cromosomi sessuali (X e Y)”.

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Eco in 3D e 4D: un’emozione infinita

Grazie alle evoluzioni tecnologiche, sono disponibili apparecchi ecografici che, attraverso una sonda tridimensionale, sono in grado di mostrare in ambito ostetrico l’immagine in tre dimensioni del bambino nel grembo materno. Questa tipologia di ecografia viene definita 4D quando all’eco 3D viene aggiunto anche il movimento del feto in tempo reale.

Tale ecografia viene richiesto molto spesso dalle future mamme più che per una valenza medica per un valore emotivo e psicologico. Soprattutto verso la fine della gravidanza, quando i tratti somatici sono meglio definiti, è un’emozione infinita per i futuri genitori vedere il viso del proprio bambino, poter iniziare a dargli un’identità più reale attraverso i suoi lineamenti. Vedere il bambino in 3D mentre si muove nel grembo materno, gira la testa, si mette il dito in bocca dà la consapevolezza del miracolo della vita che si sta formando come in nessun altro momento durante la gravidanza. È un’emozione che genera una maggiore consapevolezza di diventare genitori.  

Le immagini che scansionate sono molto reali e, come dimostrato da diversi studi, rafforzano il legame fra madre e figlio e inoltre creano un rapporto più concreto e consapevole con il papà.

Passando alla valutazione dell’ecografia in 3D dal punto di vista medico, con questo strumento si possono osservare più dettagliatamente alcune patologie che sono state rilevate dall’ecografia classica 2D. Per quanto riguarda il bambino è possibile verificare, ad esempio, le anomalie degli arti e della colonna vertebrale. Inoltre questo strumento consente di dare importanti valutazioni ginecologiche in maniera non invasiva, come le malformazioni della cavità dell’utero, la sindrome dell’ovaio, la valutazione della riserva ovarica  nell’ovaio policistico.

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Dopo il primo figlio, quando le altre gravidanze?

Molte donne a pochi mesi dal parto del primo figlio iniziano a chiedersi quando sia giusto pensare ad una seconda gravidanza. È sufficiente far passare dei mesi o è meglio aspettare qualche anno? Spesso gli elementi che spingono i neogenitori a programmare presto le seguenti gravidanze sono l’età della madre, che in molti casi supera i 35 anni, e il voler far crescere i bambini insieme, quindi con età vicine.

I risultati di uno studio condotto dalla University of British Columbia hanno dimostrato che un breve intervallo fra gravidanze può esporre mamme e bambini a maggiori rischi di andare incontro a situazioni problematiche. La dottoressa Laura Schummers, principale autrice dello studio, ha affermato che per una donna avere una nuova gravidanza entro 12 mesi dal parto precedente comporta dei rischi e questo indipendentemente dall’età della gestante.

La dottoressa Schummers e i suoi colleghi, per analizzare più approfonditamente l’impatto degli intervalli tra le gravidanze, hanno fatto riferimento al British Columbia Perinatal Data Registry, un database che contiene un riassunto di tutte le informazioni raccoglibili dalle cartelle cliniche di madri e bambini. I dati analizzati facevano riferimento a 148.544 gravidanze avvenute in un periodo di 10 anni.

L’elaborazione dei dati ha mostrato come ad un intervallo tra le gravidanze superiore ai 18 mesi corrisponda un minor numero di problematiche come necessità di trasfusioni di sangue, ricorso alla respirazione assistita, insufficienza d’organo e permanenza in terapia intensiva sia per la madre che per il bambino. Invece nelle gravidanze con un intervallo di una lunghezza compresa fra i 6 e i 18 mesi ci siano maggiori problemi sia per la madre che per il nascituro.

La dottoressa Leena Nathan, della University of California di Los Angeles e direttrice medica di UCLA Community OBGYN Practices,

ha osservato che molte delle sue pazienti diventano madri per la prima volta dopo i 35 anni di età e per questa ragione fra una gravidanza e l’altra fanno passare pochi mesi: la preoccupazione di non essere più fertili e di avere problemi nel concepire un altro bambino fa accelerare i tempi. I ginecologi durante la visita post-parto affrontano questo argomento per fornire ai neogenitori tutte le informazioni necessarie per affrontare al meglio un’altra gravidanza. Ancora più nel dettaglio viene affrontato l’argomento con le mamme che hanno superato i 40 anni, a loro vengono forniti consigli e scrupolose informazioni sui tassi di fertilità e sulla crescita delle percentuali di possibilità di mutazioni genetiche rapportate all’età materna.

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Troppo zucchero in gravidanza, possibile allergia e asma allergico nel bambino

I risultati di uno studio pubblicato sull’European Respiratory Journal evidenziano che se la futura mamma abbonda con gli zuccheri durante i nove mesi di gravidanza, il rischio che il figlio soffra di allergia e di asma allergico aumenta.

La dottoressa Annabelle Bédard, della Queen Mary University di Londra, è la principale autrice dello studio e ha spiegato che in passato ci sono state delle ricerche che hanno analizzato nei bambini l’associazione tra un alto consumo di bevande contenenti zucchero e l’asma. Per questa ragione Bédard e il suo team hanno deciso di analizzare l’associazione tra zuccheri consumati in gravidanza dalla madre e le allergie nei loro bambini. Per la ricerca, gli studiosi hanno fatto riferimento ai dati dell’Avon Longitudinal Study of Parents and Children (ALSPAC), uno studio che ha reclutato donne incinte negli anni ’90 e ne continua a seguire costantemente i figli. Dai risultati si evincono importanti associazioni positive fra l’assunzione di zuccheri in gravidanza, allergia e asma allergico, mentre invece la relazione con l’asma in generale è molto debole.

Prendendo dal campione di donne in attesa il 20% che ha consumato più zucchero e confrontandolo con il 20% che ne ha assunto la quantità più bassa, emerge un aumento del rischio di allergia nei loro figli che raggiunge il 38% e un aumento del rischio di asma allergico che arriva addirittura al 100%. Non è risultata nessuna correlazione fra assunzione di zuccheri, febbre da fieno ed eczema.

A seguito dei risultati ottenuti, i ricercatori hanno dato una possibile spiegazione basata sul fatto che l’assunzione di troppo zucchero da parte delle future mamme provocherebbe nel bambino dopo la nascita una continua risposta immunitaria allergica con conseguente infiammazione nei polmoni in via di sviluppo. I ricercatori hanno precisato che questo studio è la base di partenza per affermare che il consumo eccessivo di zucchero da parte delle donne in gravidanza sia la causa di allergia e asma allergica nei loro figli e che è necessario proseguire con le indagini in tal senso. Comunque è sempre utile raccomandare alle donne in gravidanza di seguire gli attuali orientamenti e di evitare un eccessivo consumo di zucchero, soprattutto in gravidanza.

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